rassegna stampa
08.02.2010
Una stanza in più, automaticamente autorizzata dal Comune e senza la necessità di versare oneri concessori. Nelle norme urbanistiche regionali, e quindi anche nei regolamenti edilizi comunali, stanno prendendo piede norme a favore delle cosiddette serre solari (o bioclimatiche), cioè la possibilità di aggiungere uno spazio vetrato al pianterreno o sui terrazzi senza che questa nuova cubatura sia conteggiata negli indici urbanistici. Insomma, gli stessi vantaggi dei piani casa regionali, ma con spese più contenute e conseguibili anche nelle zone che altrimenti sarebbero vietate.
Troppo bello per essere vero, si potrebbe sospettare. E non sempre a torto. Le agevolazioni per le serre solari nascono per conseguire risparmi energetici rilevanti che non è sempre facile ottenere, e con limiti che possono essere rigidi. Inoltre in molti Comuni a volte si va con i piedi di piombo nell’ aprire la strada alle sun-room. Otto Regioni – Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana e Umbria – prevedono norme in cui si dice che le serre solari non vanno computate negli incrementi volumetrici, e che spesso assoggettano la loro realizzazione a semplice Dia.
Trattandosi di disposizioni regionali, i Comuni dovrebbero recepirle nei propri regolamenti edilizi. Tuttavia l’approccio delle Regioni non è affatto unitario, e alcune non entrano molto nei dettagli. Per esempio la Lombardia che pone scarsi limiti: le serre e le logge debbono essere addossate o conglobate nell’edificio, progettate in modo da integrarsi nell’organismo edilizio e dimostrare, attraverso i necessari calcolo energetici, la propria funzione di riduzione di consumi e di combustibile fossile per il riscaldamento invernale. Un simile discorso vale per le Marche con la Legge n. 14/2008. Altre invece, pongono innanzi tutto limiti volumetrici: in Friuli Venezia Giulia, Lazio e Puglia le dimensioni della serra non devono essere superiori al 15% della superficie utile delle unità abitative, in Piemonte del 10%, in Umbria del 20%.
La Toscana detta, invece, un rapporto tra l’area vetrata della serra esposta a sud e l’area di pavimento del locale da riscaldare tra 0,1 e 0,5: la superficie della serra cioè deve essere tra il 10% e il 50% di quella del locale adiacente da riscaldare.
In Umbria si precisa che metà della serra deve essere caratterizzata da superfici vetrate.
In Toscana si consente ai Comuni di stabilire altri rapporti: ad esempio tra la superficie del pavimento della stanza e l’area vetrata complessiva, variabile da un minimo di 0,6 a un massimo di 1,6.
Infine in Friuli Venezia Giulia e nel Lazio si impedisce di derogare in ogni caso alle distanze minime previste dal Codice Civile, salvaguardando gli elementi costruttivi e decorativi di pregio storico, artistico e architettonico, nonché gli allineamenti delle cortine di edifici urbani e rurali di antica formazione.
Di fatto, però, le uniche due Regioni che tracciano requisiti tecnici dettagliati con delibera di giunta sono Toscana e Piemonte. Altrove è lasciato ai Comuni, nei loro regolamenti edilizi, stabilire i requisiti di dettaglio. Cosa che la maggior parte dei municipi non ha fatto, anche se non mancano le eccezioni: per esempio Milano, Firenze, Pisa, Padova e Perugia tra i capoluoghi, o Corrugate (Milano) tra i municipi più piccoli.
In tutti i casi è previsto che il locale serra, non abbia sistemi di riscaldamento o raffrescamento autonomi, ma le filosofie variano radicalmente da località a località. Per esempio a Padova e Firenze vige ancora una concezione molto rigida: il locale serra deve portare a risparmi energetici radicali (il 25% in meno di consumi); non deve accrescere più del 10% la superficie utile e deve essere del tutto trasparente. A Milano invece basta un risparmio energetico del 5% che si riduce al 3% in caso di unità immobiliari maggiori di 100 mq. A Perugia e Pisa la superficie vetrata minima è del 70% e l’incremento volumetrico massimo concesso del 20%
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